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Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: efficienza e rischi

per 18 Dicembre 2025Non ci sono commenti

Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: più efficienza, meno esplorazione?

L’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica sta aumentando in modo impressionante la produttività dei ricercatori. Allo stesso tempo, però, l’intelligenza artificiale solleva dubbi sulla diversità dei temi esplorati e sulle traiettorie future della scienza.

Un maxi studio accettato da Nature su 41 milioni di pubblicazioni mostra come l’AI moltiplichi l’impatto dei singoli scienziati, ma contragga il focus complessivo delle discipline. Una survey condotta da Wiley su 2.400 ricercatori aggiunge uno sguardo complementare: forte entusiasmo per l’efficienza, accompagnato da timori su errori, opacità e declino della capacità critica.

Queste due fonti raccontano un paradosso: più efficienza, meno esplorazione. Un tema che non riguarda solo il mondo accademico, ma anche le imprese e il marketing digitale, dove gli stessi meccanismi di concentrazione e polarizzazione si stanno ripetendo.

Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: come sta cambiando il lavoro degli scienziati

Negli ultimi due anni l’adozione di intelligenza artificiale nella ricerca scientifica ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti. Sempre più ricercatori usano sistemi di AI per analizzare dati, scrivere articoli, generare codice, tradurre testi, condurre simulazioni o individuare errori in modo automatico.

Non si tratta di una semplice automazione di task ripetitivi. L’integrazione massiva dell’AI incide sulla struttura stessa del lavoro scientifico, sulle carriere individuali e sulle direzioni in cui si muovono interi settori disciplinari. Lo studio accettato da Nature, intitolato “Artificial Intelligence Tools Expand Scientists’ Impact but Contract Science’s Focus”, analizza quantitativamente 41 milioni di articoli pubblicati tra il 1980 e il 2025.

In questo studio l’intelligenza artificiale è trattata come variabile strutturale: si osservano gli effetti su produttività, numero di citazioni, progressioni di carriera e configurazione delle discipline. In parallelo, la survey di Wiley – una delle principali case editrici scientifiche fondata nel 1807 e oggi attiva con oltre 1.600 riviste peer review – raccoglie percezioni, pratiche dichiarate e preoccupazioni dei ricercatori che ne utilizzano i servizi editoriali.

La combinazione di queste due prospettive – dati oggettivi e vissuto soggettivo – permette di avere una fotografia più completa dell’impatto dell’AI sul sistema della conoscenza. Uno schema utile anche per le aziende che stanno integrando l’intelligenza artificiale nei propri processi decisionali e di marketing automation.

I vantaggi misurabili dell’AI per la carriera dei ricercatori

Lo studio accademico misura con grande precisione l’impatto dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica sul lavoro dei singoli scienziati. I risultati sono consistenti in tutti e sei i campi disciplinari analizzati, mostrando un chiaro effetto di “moltiplicatore di carriera”.

In media, i ricercatori che adottano strumenti di AI:

  • pubblicano 3,02 volte più articoli rispetto ai colleghi che non li usano;
  • ricevono 4,84 volte più citazioni;
  • diventano leader di gruppo 1,37 anni prima;
  • hanno una probabilità significativamente maggiore di rimanere in accademia e progredire di ruolo.

L’intelligenza artificiale aiuta a gestire enormi volumi di dati, filtrare migliaia di risultati, redigere e revisionare testi più rapidamente, scoprire correlazioni invisibili con strumenti tradizionali. Non sorprende che, secondo la survey Wiley, il 62% dei 2.400 ricercatori intervistati utilizzi già strumenti di AI nelle attività quotidiane, in forte crescita rispetto al 45% del 2024.

La survey non misura gli output reali, ma l’adozione percepita e l’impatto sul lavoro quotidiano. Nel dettaglio, emerge che:

  • l’85% percepisce un aumento dell’efficienza;
  • il 77% nota un incremento della quantità di lavoro gestita;
  • il 73% ritiene che l’AI migliori la qualità dei risultati.

Questi dati soggettivi sono allineati con i risultati oggettivi dello studio accademico: l’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica è vista come una leva competitiva cruciale, soprattutto dagli early-career scientist che devono costruire rapidamente la propria reputazione.

La contrazione dello spazio esplorativo: il rischio del “lampione”

All’aumento dell’efficienza individuale corrisponde però, secondo i dati, una contrazione della diversità tematica. Gli autori dello studio hanno analizzato la posizione semantica di milioni di articoli in uno spazio vettoriale ad alta dimensionalità (SPECTER 2), osservando come l’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica influenzi lo spettro di conoscenze esplorate.

Dalla mappatura emergono diversi segnali:

  • la “knowledge extent” dei paper assistiti da AI è inferiore del 4,63% rispetto ai paper tradizionali;
  • la contrazione è visibile in oltre il 70% dei 200 sotto-campi disciplinari analizzati;
  • la distribuzione tematica ha meno entropia: la ricerca tende a concentrarsi in cluster già maturi e ricchi di dati;
  • la rete delle citazioni mostra una riduzione del 22% dell’interazione tra lavori, con traiettorie parallele che dialogano meno tra loro;
  • emerge un forte effetto “star system”: il 20% dei paper AI-assistiti riceve l’80% delle citazioni.

In pratica l’AI amplifica ciò che è già forte. I modelli funzionano meglio in campi con dati abbondanti, puliti e storicizzati: astrofisica, biologia computazionale, medicina per immagini, scienza dei materiali, chimica computazionale. Le discipline meno strutturate o più difficili da misurare restano indietro.

La scienza rischia così di concentrarsi “sotto il lampione”: si ottimizza ciò che è ben illuminato – dove i dati sono numerosi – trascurando le aree in ombra. Questa dinamica, già discussa in contesti come l’analisi dei dati e l’economia comportamentale, ricorda la tendenza a cercare soluzioni solo dove è più facile misurare (bias di selezione).

La survey Wiley, pur non misurando direttamente la contrazione tematica, intercetta questa preoccupazione nelle risposte degli intervistati, che temono un sistema troppo guidato dai dataset disponibili e meno dalla curiosità scientifica.

Team più piccoli, meno spazio per i giovani e impatto sul capitale umano

Un altro effetto dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica riguarda la composizione dei team. I gruppi che pubblicano con assistenza AI tendono a essere più piccoli del 9–12% rispetto ai team tradizionali, perché una parte del lavoro operativo svolto dai junior viene assorbita dagli strumenti digitali.

Le conseguenze sono rilevanti:

  • la presenza di ricercatori junior diminuisce del 7%, riducendo le opportunità di apprendere sul campo;
  • aumenta la quota di ricercatori senior (+5%), più capaci di usare l’AI come leva di accelerazione;
  • i team diventano più verticali e meno formativi, con un indebolimento della funzione pedagogica della ricerca.

Questo fenomeno è analogo a quanto si osserva nel mercato del lavoro con l’adozione dell’AI da parte delle imprese. L’introduzione massiva di sistemi intelligenti aumenta la produttività complessiva, ma riduce le opportunità per i profili junior: le mansioni operative o ripetitive vengono automatizzate, mentre cresce il peso dei ruoli altamente qualificati e strategici.

Ne deriva una forza lavoro più efficiente, ma più polarizzata, con meno spazio per il ricambio generazionale. Se oggi non si formano giovani, domani mancheranno i senior. È un rischio sistemico che riguarda tanto la ricerca quanto le aziende che lavorano con dati, AI e marketing digitale.

Errori, opacità e pigrizia cognitiva: il lato oscuro dell’AI

La survey Wiley evidenzia anche i timori dei ricercatori. L’87% degli intervistati segnala preoccupazioni su diversi fronti legati all’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica. Tra questi:

  • la possibilità che i modelli generino errori o hallucinations;
  • la sicurezza e la protezione dei dati sensibili;
  • l’opacità dei dataset di addestramento;
  • il rischio di un uso non critico che riduca la capacità di analisi e il rigore del ragionamento scientifico.

Si aggiunge una deriva più sottile: la tendenza a delegare all’AI operazioni che dovrebbero restare sotto il controllo cognitivo del ricercatore, con il rischio di indebolire la disciplina mentale e il dubbio sistematico, fondamento del metodo scientifico. Il matematico Nigel Hitchin (Università di Oxford) ha richiamato questo rischio, evidenziando la possibilità di una “pigrizia cognitiva” indotta dall’eccessiva fiducia nei modelli.

Studi recenti mostrano inoltre come l’uso esteso di strumenti generativi possa ridurre l’attivazione cerebrale, la varietà linguistica e la capacità di scrivere autonomamente senza assistenza (analisi su AI e capacità cognitive). Si parla di cognitive offloading: delegando processi cognitivi impegnativi alla macchina, si rischia di indebolire proprio le facoltà di cui scienza e business hanno più bisogno.

Collegato a questo, il concetto di brainrot descrive un indebolimento cognitivo più ampio: pensieri più brevi, superficiali, meno strutturati; riduzione della capacità di mantenere l’attenzione, sviluppare idee originali e sostenere processi analitici complessi nel tempo.

Il paradosso dell’efficienza individuale e della debolezza collettiva

Dal confronto tra dati quantitativi e survey emerge un paradosso strutturale nell’uso dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica. Da un lato, l’AI amplifica la capacità dei singoli di incidere sul proprio campo, accelera i tempi di produzione, aumenta la visibilità scientifica, rende più efficiente la gestione dei dati e facilita l’individuazione di pattern nascosti.

Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: efficienza e rischi

Dall’altro lato, la stessa tecnologia tende a restringere la varietà complessiva della ricerca. La comunità viene spinta verso territori già consolidati, dove i dati sono abbondanti e gli algoritmi offrono le migliori performance. L’aumento della produttività individuale non coincide automaticamente con un ampliamento dello spazio esplorativo collettivo.

La sfida dei prossimi anni sarà capire se l’AI potrà diventare non solo un acceleratore di efficienza, ma anche un alleato capace di sostenere il dubbio, la lentezza dell’esplorazione, il coraggio di uscire dai sentieri più battuti. Questo vale per la scienza e, per analogia, per tutte le decisioni guidate dai dati nelle aziende.

Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: scenari e rischi di polarizzazione

Se l’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica tende a favorire le discipline ricche di dati, si rischia un riallineamento tra geografia della scienza e geografia delle grandi piattaforme tecnologiche. Nasce l’ipotesi di un “cartello dei saperi”: i domini in grado di alimentare i modelli con grandi dataset diventano più finanziabili, più pubblicabili, più visibili.

I confini tra ciò che è scientificamente rilevante e ciò che è tecnicamente conveniente rischiano di sovrapporsi. La ricerca rimane vivace, ma sempre più concentrata su pochi cluster di conoscenza, mentre intere aree disciplinari possono scivolare in una zona d’ombra.

Accanto a questo scenario, ne esistono però altri possibili:

Scenario 2 – Nuovi sensi per la scienza

In uno scenario più positivo, l’AI non si limita a elaborare dati esistenti, ma permette di generarne di nuovi. Robot autonomi in laboratorio, sensori intelligenti, piattaforme di simulazione avanzate e modelli capaci di proporre esperimenti inediti allargano il perimetro del conoscibile.

L’intelligenza artificiale diventa così un’estensione dei sensi scientifici, non solo del calcolo. Le discipline oggi marginali possono ritrovare spazio proprio grazie a strumenti che rendono misurabile ciò che prima non lo era.

Scenario 3 – La scienza che ritrova il proprio baricentro cognitivo

Un terzo scenario vede il sistema reagire ai rischi di pigrizia cognitiva e brainrot. L’AI viene integrata nei percorsi formativi come strumento per allenare – non sostituire – il pensiero critico. Gli studenti imparano a usare i modelli, ma soprattutto a verificarli, controllarli, confutarli.

La tecnologia diventa un tutor cognitivo che rafforza la capacità di ragionamento, incapsulata in un’“etica dell’attenzione” e della comprensione. Un approccio che le aziende possono replicare nella formazione interna su AI, data analysis e marketing data-driven.

Intelligenza artificiale nella ricerca scientifica: impatto su Marketing e Business

Le dinamiche osservate con l’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica sono molto simili a quelle che stanno trasformando il marketing digitale e il business. Anche qui l’AI aumenta efficienza, velocità e capacità di gestione dei dati, ma introduce rischi di concentrazione e omologazione.

Nel marketing, i modelli tendono a privilegiare i segmenti ricchi di dati: clienti molto attivi, mercati già maturi, canali digitali ad alta tracciabilità come email, social e WhatsApp Business. Questo può portare a campagne estremamente ottimizzate sul breve periodo, ma meno esplorative su nuovi segmenti, prodotti o mercati.

Le aziende che usano solo ciò che gli algoritmi “vedono” rischiano un effetto lampione simile a quello della scienza: focalizzarsi su ciò che è facilmente misurabile e trascurare ciò che richiede creatività, ricerca qualitativa, sperimentazione non guidata dai dati storici.

Allo stesso tempo, l’AI nei sistemi di marketing automation permette di:

  • personalizzare la comunicazione su larga scala;
  • segmentare i lead in modo dinamico;
  • predire propensione all’acquisto e churn;
  • ottimizzare tempi, canali e contenuti di contatto.

Il punto critico è bilanciare efficienza e esplorazione: usare i modelli per potenziare ciò che funziona, senza smettere di testare nuove idee, nuovi touchpoint e nuove narrazioni di brand. In questo senso, canali conversazionali come WhatsApp Business, supportati da piattaforme di automazione, diventano fondamentali per mantenere un contatto umano e qualitativo con i clienti.

Un approccio maturo all’AI in azienda dovrebbe ispirarsi alle lezioni della ricerca scientifica: monitorare non solo i KPI di produttività, ma anche la diversità delle strategie, la qualità del pensiero critico interno e lo sviluppo delle competenze dei profili junior.

Come SendApp Può Aiutare con l’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica (e nel business)

Le evoluzioni dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica mostrano quanto sia strategico integrare l’AI in modo controllato, trasparente e orientato alla crescita del capitale umano. Lo stesso vale per le aziende che vogliono usare l’AI nella comunicazione e nel marketing, in particolare su canali ad alta intensità relazionale come WhatsApp Business.

SendApp nasce proprio per aiutare imprese e professionisti a trasformare conversazioni in valore, sfruttando automazione, integrazione con sistemi esistenti e potenzialità dell’AI in modo responsabile.

API ufficiali WhatsApp e integrazione con sistemi AI

Con SendApp Official le aziende possono accedere alle API WhatsApp ufficiali in modo strutturato. Questo permette di collegare il canale WhatsApp ai propri modelli di AI e ai CRM, gestendo:

  • notifiche transazionali e aggiornamenti automatici;
  • flussi di nurturing supportati da algoritmi di scoring e segmentazione;
  • risposte automatiche intelligenti basate su knowledge base interne.

Come nella ricerca, anche qui l’obiettivo non è sostituire le persone, ma moltiplicarne la capacità di gestire grandi volumi di interazioni senza perdere qualità.

Gestione team e conversazioni omnicanale

SendApp Agent consente di orchestrare il lavoro di team di vendita, supporto e customer care su un unico pannello. È possibile distribuire le conversazioni, assegnare ticket, monitorare performance e integrare logiche AI nella priorità dei contatti o nel suggerimento delle risposte.

In questo modo si evita uno dei rischi emersi nell’uso dell’AI in ricerca: la riduzione delle opportunità per i profili junior. Le automazioni gestiscono le attività ripetitive, mentre gli operatori possono concentrarsi sui casi complessi, imparando dai dati e dalle interazioni.

Automazione avanzata e scalabilità in cloud

Con SendApp Cloud le aziende possono impostare flussi avanzati di automazione su WhatsApp Business: funnel di acquisizione, sequenze di onboarding, reminder dinamici, campagne segmentate basate su eventi e comportamenti.

Questi flussi possono essere alimentati da modelli di AI che analizzano i dati di interazione per ottimizzare tempi, contenuti e percorsi. A differenza di uno scenario chiuso e polarizzato, la piattaforma permette di progettare veri e propri “esperimenti di marketing”, testando messaggi, segmenti e journey diversi in modo controllato.

Per le aziende che vogliono portare nel business le migliori lezioni dell’intelligenza artificiale nella ricerca scientifica – efficienza sì, ma senza perdere esplorazione e pensiero critico – l’ecosistema SendApp offre una base solida, scalabile e conforme alle linee guida ufficiali WhatsApp.

Se stai valutando come integrare AI e automazione nella tua strategia di comunicazione su WhatsApp Business, puoi richiedere una consulenza dedicata o attivare una prova delle soluzioni SendApp per capire sul campo l’impatto sui tuoi processi di marketing, vendita e assistenza.

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